Io sono Clara. Sono piccolina, ma ho i riccioli e le scarpe da flamenco.
Sono tanto stanca.
Papà e Mamma mi hanno portata a questo ospedale il 23 luglio, nel pomeriggio.
Papà lo aveva già visto sullo schermo del computer, che sembrava un’astronave con tutte le finestrelle illuminate.
Io non l’ho nemmeno guardato, stavo in braccio alla mamma e tenevo gli occhi chiusi e la testa appoggiata a lei.
Prima di sera, i medici hanno detto che la mia stanchezza si chiamava leucemia linfoblastica o mieloide.
Siamo saliti all’undicesimo piano e nella stanza c’era un’altra bambina. Non abbiamo mai giocato insieme, dopo due settimane ho avuto una stanza tutta per me. La stanza era un po’ triste, ma io ho attaccato dei disegni che ho fatto con mio fratello, dei poster con animaletti e delle foto che mi ha fatto papà al mare con mio fratello.
Sulla piantana, che sostiene le pompe per l’infusione delle medicine, ho messo le mie bamboline Rosina e Carotina mentre la piantana che usavano per la pivici si chiamava Mathias ed era il mio compagno di ballo. Sono tornata a casa la prima volta dopo più di due mesi: avevo imparato i nomi delle medicine (il Cefta puzza!) e sapevo che la mia stanchezza non sarebbe passata tanto in fretta.
Tutte le mattine c’era il prelievo, ma senza puntura il mio sangue lo prendevano dal civici; qualche infermiera, trovandomi addormentata, andava via in punta di piedi e tornava più tardi; qualche altra provava a fare piano, per prendermi un po’ di sangue senza farsi accorgere.
Poi venivano le ausiliarie a rifarmi il letto; anche loro, se dormivo ancora, tornavano più tardi. Ma non potevano aspettare tutta la giornata che mi svegliassi: se dormivo anche la seconda volta, il letto lo rifaceva la mamma o il papà.
Poi, aspettavo la signora Rosi che veniva a pulire, aveva una scopa che faceva le magie. E poi i dottori, col loro camice bianco, passavano a metà mattina per la visita. Qualche volta dormivo, qualche volta ero inquieta (capita, sapete?). Anche loro se ne andavano sorridendo, in punta di piedi. Qualcuno quando aveva tempo si fermava a giocare con me, fingeva di mangiarmi i piedi per farmi ridere. Mi infastidiva la luce e mi hanno regalato
degli occhiali bellissimi. Mi hanno anche permesso di girare per i corridoi in bicicletta.
Oggi è mercoledì? Era il mio giorno preferito della settimana, sapete venivano i pagliacci e mi facevano tanto ridere, io li spaventavo sempre con un grosso “BU”, peccato che restassero sempre così poco.
Durante il giorno venivano i volontari dell’ABIO per farmi giocare; la mamma e il papà, solo allora lasciavano la stanza. Devo dire che non tutti sapevano giocare come piace a me, ma non era colpa loro: sono grandi. Franci, col camice rosso e la sua valigia piena di colori spesso riusciva a colorarmi la giornata e insieme facevamo dei lavoretti.
Non ero mai da sola. Mamma e papà stavano con me. Guardavo la televisione ed erano lì.
Un po’ giocavo, erano lì. Dormivo, aprivo gli occhi e li vedevo.
Hanno il loro nome, ma quando uscivano nei corridoi tutti li chiamavano mamma e papà. Non ci siamo lasciati neanche un’ora, per tutti quei dieci mesi, neanche un’ora, neanche un momento.
Mi dissero che magari veniva la zia.
“Sì, sì, va bene la zia, però stai anche tu”, ho risposto.
Non sono così piccola come sembro!
Un’infermiera si addormentava mentre mi faceva i prelievi e io la sgridavo: “Ma sei ancora qua? Non vai a lavorare?”.
Un’ altra non era mai stanca, mi diceva fai così, prendi questo, tirati su ed era come il papà, solo loro due mantenevano le promesse. “Se fai questo, ti metto la crema”. Bene, io obbedivo e sentivo fresca fresca la crema sulla mia pelle.
Loro erano infermiere.
Le mie infermiere preferite erano tutte.
Quelle che pregavano per me e portavano le immagini dei santi che mettevamo sotto il mio cuscino.
Altre mi portavano libri e disegni delle mie principesse preferite.
Alcune facevano la spesa per i loro bambini e compravano qualcosa anche per me.
Una notte abbiamo fatto una festa con i pop corn, perchè la notte prima avevo avuto un po’ di fame e papà mi aveva preparato le tagliatelle col sugo. Non avevo mai fame, ci volevano proprio.
Così avevamo provato anche i pop corn.
Anche quel monello di mio fratello scappava dalla mia stanza per giocare con loro in sala giochi, la sala giochi è spesso vuota.
Le infermiere erano molto brave, che nell’ospedale si dice: professionali.
Io le ricordo proprio tutte, ognuna col suo nome e qualcuna anche con dei soprannomi (el zorro, piuma blu, el mono) so bene che una fingeva di addormentarsi per farsi sgridare, che l’altra mi dava gli ordini perchè mi voleva bene, che tante pregavano i loro santi per me.
Le ricordo perchè erano molto brave, che nel mio mondo si dice: mi volevano bene e io quando potevo preparavo il caffè per loro.
Io sono Clara ed ho perso i riccioli.
Non sono così piccola come sembravo.
Pubblicato su: Il notiziario del Comitato Maria Letizia Verga